giovedì 21 febbraio 2013

COSTA CONCORDIA: APPUNTI PER UN RISARCIMENTO DEL DANNO AMBIENTALE


Questo breve scritto contiene alcune riflessioni preliminari in punto di legittimazione ad agire e di ampiezza dei danni risarcibili, in relazione alle possibili azioni civili a seguito del naufragio della Costa Concordia avvenuto nella notte del 13 gennaio 2012.
La responsabilità per danno ambientale, un tempo regolata dall’art. 18 l. 349/1986, è ora disciplinata nella Parte Sesta del Codice dell’ambiente (d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152), agli articoli 299 e ss..
La disposizione chiave, contenuta nel comma 2 dell’art. 311 del Codice (azione risarcitoria in forma specifica e per equivalente patrimoniale), prevede: “Chiunque realizzando un fatto illecito [...]arrechi danno all'ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, è obbligato all'effettivo ripristino a sue spese della precedente situazione e, in mancanza, all'adozione di misure di riparazione complementare e compensativa di cui alla direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, secondo le modalità prescritte dall'Allegato II alla medesima direttiva, da effettuare entro il termine congruo di cui all'articolo 314, comma 2, del presente decreto. Quando l'effettivo ripristino o l'adozione di misure di riparazione complementare o compensativa risultino in tutto o in parte omessi, impossibili o eccessivamente onerosi ai sensi dell'articolo 2058 del Codice civile o comunque attuati in modo incompleto o difforme rispetto a quelli prescritti, il danneggiante è obbligato in via sostitutiva al risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato, determinato conformemente al comma 3 del presente articolo, per finanziare gli interventi di cui all'articolo 317, comma 5”.
L’articolo è stato da ultimo modificato dall’art. 5 bis (rubricato “Attuazione della direttiva 2004/35/CE. Procedura di infrazione n. 2007/4679, ex art. 226 Trattato CE”) del d.l. 25 settembre 2009, n. 135 (“Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità Europee”), convertito con la l. 20 novembre 2009, n. 166: tale modifica è quindi diretta ad adeguare la disciplina italiana alle norme europee contenute nella direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004.
Per il profilo della legittimazione ad agire per avviare l’azione risarcitoria, i problemi sorgono poiché essa spetta solo al Ministero dell'ambiente (i.e. l'Avvocatura di Stato).
Questo principio deve essere applicato nel senso che solo allo Stato compete l'azione specifica ex art. 311 Codice Ambiente, ma non esaurisce certo le possibilità di azione in giudizio per danni riconducibili a un disastro ambientale.
Nella recente sentenza della Cassazione penale del 21 ottobre 2010, n. 41015, la Suprema Corte ha, in applicazione di questo criterio, escluso la legittimazione ad agire per danno ambientale dell’Ente territoriale, nella specie la Provincia di Foggia.
Ricorda la S.C. che la l. 349/1986, art. 18, comma 3, attribuiva allo Stato e agli enti territoriali sui quali incidono i beni oggetto del fatto lesivo la legittimazione a promuovere la relativa azione per il risarcimento del danno, anche se esercitata in sede penale. Il suddetto art. 18 è stato però abrogato dal Codice ambiente (ad eccezione del comma 5, che riconosce alle associazioni ambientaliste il diritto di intervenire nei giudizi per danno ambientale). Ora, il medesimo Codice, all’art. 311, riserva allo Stato, ed in particolare al Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio, il potere di agire per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale, anche esercitando l'azione civile in sede penale.
Le regioni e gli enti territoriali minori, in forza dell'art. 309, comma 1, possono ora presentare denunce ed osservazioni nell'ambito di procedimenti finalizzati all'adozione di misure di prevenzione, precauzione e ripristino oppure possono sollecitare l'intervento statale a tutela dell'ambiente, mentre non hanno più il potere di agire iure proprio per il risarcimento del danno ambientale - salvo, come vedremo a breve, il diritto di costituirsi parte civile nel processo penale.
Tuttavia – nel ragionamento della Corte – “l’indicazione, nel capo di imputazione, della provincia come persona offesa è irrilevante al fine del riconoscimento della legittimazione a costituirsi parte civile e comunque si spiega col fatto che la provincia avrebbe potuto eventualmente assumere tale qualità qualora avesse in concreto subito in via diretta un danno patrimoniale diverso dal danno ambientale di natura pubblica. Il fatto poi che il testo unico dell'ambiente attribuisce a regioni e province l'amministrazione e la tutela del territorio non fa venir meno l'efficacia dell'art. 311 dello stesso testo unico che affida unicamente allo Stato l'azione per il risarcimento del danno ambientale” (Cass. pen. 21 ottobre 2010, n. 41015).
Se l'attributo “patrimoniale” è stato utilizzato dalla S.C. al fine di circoscrivere l'area del danno, la conseguenza sarebbe quella di rendere davvero ridotti gli spazi di legittimazione ad agire di entità private, associazioni, o Enti territoriali, legittimazione che dovrebbe essere esclusa laddove intendano chiedere il risarcimento del danno da illecito ambientale, sub specie di danno morale (non patrimoniale), invocando, ad esempio, la frustrazione dei propri scopi istituzionali o statutari ovvero il risarcimento “del danno quale lesione del diritto fondamentale all'ambiente salubre di ogni uomo e delle formazioni sociali nelle quali si sviluppa la personalità” (così, invece, Cass. pen. 11 febbraio 2010, n. 14828).
Tuttavia, viene riconosciuto alle associazioni ambientaliste di proporre, in caso di inerzia degli enti territoriali, le azioni risarcitorie per danno ambientale, costituendosi parte civile iure proprio nel processo per reati ambientali; allo stesso modo, ad esempio è stata riconosciuta la legittimazione alla tutela civilistica per danni ambientali collegati alla sicurezza dei lavoratori addetti, in favore di ogni associazione, in particolar modo di quelle sindacali, normativamente riconosciute ed operanti con finalità istituzionali ed associative di tutela dei prestatori di lavoro, giacché certa la loro natura di enti esponenziali della collettività, come tali costituzionalmente riconosciuti nelle funzioni sociali svolte (v. Cass. pen., 16 giugno 2010, n. 33170).
Le associazioni ambientaliste "riconosciute" sono legittimate ad agire in giudizio non solo per la tutela degli interessi ambientali "in senso stretto" ma anche per quelli ambientali "in senso lato", "comprendenti, cioè, la conservazione e valorizzazione dell’ambiente in senso ampio, del paesaggio urbano, rurale, naturale nonché dei monumenti e dei centri storici" (in applicazione del principio, Cass. pen. 22 ottobre 2010, n. 3872, ha riconosciuto la legittimazione di Legambiente a costituirsi parte civile e, conseguentemente, a ricorrere per cassazione ai fini civili, in un giudizio concernente il reato di lottizzazione abusiva: cfr. anche Cass. pen., 17 novembre 2010, n. 7015).
Allo stesso modo, il diritto di costituirsi parte civile è stato riconosciuto alle Regioni e agli Enti territoriali, in quanto "il bene ambientale, inteso come assetto qualificato del territorio, è oggetto di un loro diritto di personalità" (Cass. pen., 26 gennaio 2011, n. 8091; così anche G.u.p. Trib. Pescara, 30 aprile 2010).
Inoltre, come è stato confermato anche da Cass. pen., 28 ottobre 2009, n. 755, "la disciplina normativa di cui all’art. 311, 1º comma, d.lgs. n. 152/06, secondo cui «il ministro dell’ambiente e della tutela del territorio agisce, anche esercitando l’azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale, oppure procede ai sensi delle disposizioni di cui alla parte sesta del d.lgs. n. 152/06» non esclude e comunque non è incompatibile con la disciplina generale prevista dall’art. 2043 c.c., in virtù della quale qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno".
Gli enti locali e le associazioni di categoria - come qualunque danneggiato - avranno quindi la possibilità di spiegare l'ordinaria azione ex art. 2043 c.c., dovendo però provare:
- il danno da loro subito (conseguenza immediata e diretta del fatto ex. art. 1223 c.c.);
- il nesso di causa tra fatto e danno;
- la colpa o il dolo di chi ha commesso il fatto.
Quanto al danno risarcibile, si rilevi che è comunque astrattamente risarcibile anche il danno non patrimoniale, a seguito dell'orientamento invalso dalla pronuncia a Sezioni Unite della Cassazione dell’11 novembre 2008, n. 26972, che ha allargato il campo di tali danni oltre il limite del reato, riconoscendone la risarcibilità - sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. - anche quando non sussiste un fatto-reato, né ricorre alcuna delle altre ipotesi in cui la legge consente espressamente il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali, purché venga data la prova (anche in via presuntiva, laddove possibile), del ricorrere dei seguenti requisiti:
a) che l’interesse leso - e non il pregiudizio sofferto - abbia rilevanza costituzionale;
b) che la lesione dell’interesse sia grave, nel senso che l’offesa superi una soglia minima di tollerabilità;
c) che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od alla felicità.

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