Questo breve scritto contiene alcune riflessioni
preliminari in punto di legittimazione ad agire e di ampiezza dei danni
risarcibili, in relazione alle possibili azioni civili a seguito del naufragio
della Costa Concordia avvenuto nella notte del 13 gennaio 2012.
La responsabilità per danno ambientale, un tempo
regolata dall’art. 18 l. 349/1986, è ora disciplinata nella Parte Sesta del
Codice dell’ambiente (d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152), agli articoli 299 e ss..
La disposizione chiave, contenuta nel comma 2
dell’art. 311 del Codice (azione risarcitoria in forma specifica e per
equivalente patrimoniale), prevede: “Chiunque realizzando un fatto
illecito [...]arrechi danno all'ambiente, alterandolo, deteriorandolo o
distruggendolo in tutto o in parte, è obbligato all'effettivo ripristino a sue
spese della precedente situazione e, in mancanza, all'adozione di misure di
riparazione complementare e compensativa di cui alla direttiva 2004/35/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, secondo le modalità
prescritte dall'Allegato II alla medesima direttiva, da effettuare entro il
termine congruo di cui all'articolo 314, comma 2, del presente decreto. Quando
l'effettivo ripristino o l'adozione di misure di riparazione complementare o
compensativa risultino in tutto o in parte omessi, impossibili o eccessivamente
onerosi ai sensi dell'articolo 2058 del Codice civile o comunque attuati in
modo incompleto o difforme rispetto a quelli prescritti, il danneggiante è
obbligato in via sostitutiva al risarcimento per equivalente patrimoniale nei
confronti dello Stato, determinato conformemente al comma 3 del presente
articolo, per finanziare gli interventi di cui all'articolo 317, comma 5”.
L’articolo è stato da ultimo modificato dall’art. 5 bis (rubricato “Attuazione della direttiva 2004/35/CE. Procedura di infrazione n.
2007/4679, ex art. 226 Trattato CE”) del d.l. 25 settembre 2009, n.
135 (“Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per
l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità Europee”),
convertito con la l. 20 novembre 2009, n. 166: tale modifica è quindi diretta
ad adeguare la disciplina italiana alle norme europee contenute nella direttiva
2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004.
Per il profilo della legittimazione ad agire per
avviare l’azione risarcitoria, i problemi sorgono poiché essa spetta solo
al Ministero dell'ambiente (i.e. l'Avvocatura di Stato).
Questo principio deve essere applicato nel senso che
solo allo Stato compete l'azione specifica ex art. 311 Codice Ambiente, ma non
esaurisce certo le possibilità di azione in giudizio per danni riconducibili a
un disastro ambientale.
Nella recente sentenza della Cassazione penale del 21
ottobre 2010, n. 41015, la Suprema Corte ha, in applicazione di questo
criterio, escluso la legittimazione ad agire per danno ambientale dell’Ente
territoriale, nella specie la Provincia di Foggia.
Ricorda la S.C. che la l. 349/1986, art. 18, comma 3,
attribuiva allo Stato e agli enti territoriali sui quali incidono i beni
oggetto del fatto lesivo la legittimazione a promuovere la relativa azione per
il risarcimento del danno, anche se esercitata in sede penale. Il suddetto art.
18 è stato però abrogato dal Codice ambiente (ad eccezione del comma 5, che
riconosce alle associazioni ambientaliste il diritto di intervenire nei giudizi
per danno ambientale). Ora, il medesimo Codice, all’art. 311, riserva allo Stato,
ed in particolare al Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio, il
potere di agire per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e,
se necessario, per equivalente patrimoniale, anche esercitando l'azione civile
in sede penale.
Le regioni e gli enti territoriali minori, in forza
dell'art. 309, comma 1, possono ora presentare denunce ed osservazioni
nell'ambito di procedimenti finalizzati all'adozione di misure di prevenzione,
precauzione e ripristino oppure possono sollecitare l'intervento statale a
tutela dell'ambiente, mentre non hanno più il potere di agire iure proprio per
il risarcimento del danno ambientale - salvo, come vedremo a breve, il
diritto di costituirsi parte civile nel processo penale.
Tuttavia – nel ragionamento della Corte – “l’indicazione, nel capo di imputazione, della provincia come
persona offesa è irrilevante al fine del riconoscimento della legittimazione a
costituirsi parte civile e comunque si spiega col fatto che la provincia
avrebbe potuto eventualmente assumere tale qualità qualora avesse in concreto
subito in via diretta un danno patrimoniale diverso dal danno ambientale di
natura pubblica. Il fatto poi che il testo unico dell'ambiente attribuisce a
regioni e province l'amministrazione e la tutela del territorio non fa venir
meno l'efficacia dell'art. 311 dello stesso testo unico che affida unicamente
allo Stato l'azione per il risarcimento del danno ambientale” (Cass.
pen. 21 ottobre 2010, n. 41015).
Se l'attributo “patrimoniale” è stato utilizzato dalla
S.C. al fine di circoscrivere l'area del danno, la conseguenza sarebbe quella
di rendere davvero ridotti gli spazi di legittimazione ad agire di entità
private, associazioni, o Enti territoriali, legittimazione che dovrebbe essere
esclusa laddove intendano chiedere il risarcimento del danno da illecito
ambientale, sub
specie di
danno morale (non patrimoniale), invocando, ad esempio, la frustrazione dei
propri scopi istituzionali o statutari ovvero il risarcimento “del danno quale lesione del diritto fondamentale all'ambiente
salubre di ogni uomo e delle formazioni sociali nelle quali si sviluppa la
personalità” (così,
invece, Cass. pen. 11 febbraio 2010, n. 14828).
Tuttavia, viene riconosciuto alle associazioni
ambientaliste di proporre, in caso di inerzia degli enti territoriali, le
azioni risarcitorie per danno ambientale, costituendosi parte civile iure proprio nel processo per reati
ambientali; allo stesso modo, ad esempio è stata riconosciuta la
legittimazione alla tutela civilistica per danni ambientali collegati alla
sicurezza dei lavoratori addetti, in favore di ogni associazione, in particolar
modo di quelle sindacali, normativamente riconosciute ed operanti con finalità
istituzionali ed associative di tutela dei prestatori di lavoro, giacché certa
la loro natura di enti esponenziali della collettività, come tali
costituzionalmente riconosciuti nelle funzioni sociali svolte (v. Cass. pen.,
16 giugno 2010, n. 33170).
Le associazioni ambientaliste "riconosciute"
sono legittimate ad agire in giudizio non solo per la tutela degli interessi
ambientali "in senso stretto" ma anche per quelli ambientali "in
senso lato", "comprendenti, cioè, la
conservazione e valorizzazione dell’ambiente in senso ampio, del paesaggio
urbano, rurale, naturale nonché dei monumenti e dei centri storici" (in applicazione del principio,
Cass. pen. 22 ottobre 2010, n. 3872, ha riconosciuto la legittimazione di
Legambiente a costituirsi parte civile e, conseguentemente, a ricorrere per
cassazione ai fini civili, in un giudizio concernente il reato di lottizzazione
abusiva: cfr. anche Cass. pen., 17 novembre 2010, n. 7015).
Allo stesso modo, il diritto di costituirsi parte
civile è stato riconosciuto alle Regioni e agli Enti territoriali, in quanto
"il bene ambientale, inteso come assetto qualificato del
territorio, è oggetto di un loro diritto di personalità" (Cass.
pen., 26 gennaio 2011, n. 8091; così anche G.u.p. Trib. Pescara, 30 aprile
2010).
Inoltre, come è stato confermato anche da Cass. pen.,
28 ottobre 2009, n. 755, "la disciplina normativa di cui
all’art. 311, 1º comma, d.lgs. n. 152/06, secondo cui «il ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio agisce, anche esercitando l’azione
civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma
specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale, oppure procede ai
sensi delle disposizioni di cui alla parte sesta del d.lgs. n. 152/06» non
esclude e comunque non è incompatibile con la disciplina generale prevista
dall’art. 2043 c.c., in virtù della quale qualunque fatto doloso o colposo che
cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a
risarcire il danno".
Gli enti locali e le associazioni di categoria
- come qualunque danneggiato - avranno quindi la possibilità di
spiegare l'ordinaria azione ex art. 2043 c.c., dovendo però provare:
- il danno da loro subito (conseguenza immediata
e diretta del fatto ex. art. 1223 c.c.);
- il nesso di causa tra fatto e danno;
- la colpa o il dolo di chi ha commesso il fatto.
Quanto al danno risarcibile, si rilevi che è comunque
astrattamente risarcibile anche il danno non patrimoniale, a seguito
dell'orientamento invalso dalla pronuncia a Sezioni Unite della Cassazione
dell’11 novembre 2008, n. 26972, che ha allargato il campo di tali danni oltre
il limite del reato, riconoscendone la risarcibilità - sulla base di una
interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. - anche quando
non sussiste un fatto-reato, né ricorre alcuna delle altre ipotesi in cui la
legge consente espressamente il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali, purché
venga data la prova (anche in via presuntiva, laddove possibile), del ricorrere
dei seguenti requisiti:
a) che l’interesse leso - e non il pregiudizio
sofferto - abbia rilevanza costituzionale;
b) che la lesione dell’interesse sia grave, nel senso
che l’offesa superi una soglia minima di tollerabilità;
c) che il
danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi,
ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità
della vita od alla felicità.
Nessun commento:
Posta un commento